Perché il talento ha più valore del duro lavoro?

Perché le persone premiano il talento innato rispetto al duro lavoro

In quasi ogni disciplina, il successo deriva da una combinazione di talento e determinazione. Ascoltando molte persone di successo, possiamo notare che mentre descrivono il loro percorso di vita, spesso è possibile sentirli elogiare la loro fatica, mentre stranamente minimizzano il ruolo delle loro capacità innate.

Thomas Edison potrebbe essere il più citato, con la sua affermazione che “il genio è l’uno per cento di ispirazione e il novantanove per cento di sudore”.

Anche la scrittrice Octavia Butler diceva a chi voleva iniziare a scrivere: “Dimentica il talento. Se ce l’hai, bene. Usalo. Se non ce l’hai, non importa. Poiché l’abitudine è più affidabile dell’ispirazione, l’apprendimento continuo è più affidabile del talento”.

Anche il calciatore portoghese Cristiano Ronaldo sottolinea sempre il sangue, il sudore e le lacrime che ha dedicato al suo allenamento. “Il talento senza lavoro non significa nulla”, ha detto quando gli è stato chiesto di raccontare il segreto del suo successo sul campo.

Potremmo pensare che queste affermazioni da parte di figure celebri, siano fatte apposta, perché desiderano apparire umili.

Tuttavia, ricerche recenti, mostrano che enfatizzare eccessivamente l’importanza del duro lavoro potrebbe avere conseguenze negative in molte situazioni professionali, a causa di un fenomeno noto come “bias della naturalezza”.

Questi studi suggeriscono che le persone hanno maggiore rispetto per coloro che hanno un dono innato piuttosto che per coloro che hanno dovuto lottare per il loro successo

Il bias della naturalezza si pensa che operi a livello inconscio. Purtroppo le conseguenze che produce possono essere profondamente ingiuste. Nell’ambito della selezione di personale, ad esempio, i selezionatori potrebbero arrivare a preferire un candidato meno qualificato se sono convinti che i suoi successi dipendano dal suo innato talento, rispetto a un candidato più preparato che ha dimostrato grinta e determinazione.

Genio incontaminato

In psicologia del consumatore, il termine “bias della naturalezza” viene spesso utilizzato per descrivere la nostra preferenza per beni naturali rispetto a quelli sintetici. L’autore Malcolm Gladwell sembra essere stato il primo ad applicare il concetto alle abilità umane durante una presentazione alla American Psychological Association (APA) nel 2002.

In tale circostanza affermo: “Crediamo che quanto più qualcosa si avvicina al suo stato originale, tanto meno alterata o adulterata è, tanto più desiderabile diventa”, dichiarò. Secondo questa logica, ipotizzò che qualcuno che ha dovuto lavorare duramente per raggiungere il successo, ha essenzialmente alterato la sua “natura” e i suoi risultati, al pari di un bene sintetico “alterato” sono meno rispettabili.

L’argomento di Gladwell si basava principalmente sull’osservazione piuttosto che su prove sperimentali, ma Chia-Jung Tsay, docente associato presso l’University College London School of Management, ha successivamente testato l’idea in una serie di studi.

Il primo esperimento di Tsay, condotto mentre era all’Università di Harvard, ha esaminato le percezioni delle persone sul talento musicale. I partecipanti erano tutti musicisti addestrati a cui sono stati presentati due frammenti di 20 secondi di una performance di “Trois Mouvements de Petrouchka” di Stravinsky. Entrambi gli estratti sono stati suonati dalla pianista taiwanese Gwhyneth Chen, ma ai partecipanti è stato fatto credere che provenissero da registrazioni realizzate da due diversi pianisti.

Con ogni traccia, ai partecipanti è stato fornito un breve testo biografico che enfatizzava o il talento naturale dell’esecutore o il duro lavoro che li aveva aiutati a sviluppare la loro arte. Dopo l’ascolto, dovevano valutare la capacità dell’esecutore, le possibilità di successo futuro e l’impiego come musicisti professionisti.

In teoria, i partecipanti avrebbero dovuto valutare entrambi gli estratti allo stesso modo (stavano ascoltando le diverse parti della stessa performance).

Tuttavia, Tsay ha scoperto che le informazioni biografiche hanno avuto un’influenza significativa sui loro giudizi: hanno dato valutazioni significativamente più alte se avevano letto del genio innato dell’esecutore e valutazioni più basse se avevano letto dell’impegno dell’esecutore nella pratica quotidiana.

Sorprendentemente, questi giudizi contraddicevano direttamente le convinzioni espresse apertamente dagli esecutori stessi sulle basi del successo musicale.

Quando sono stati direttamente interrogati su quale fattore fosse più importante per il successo musicale, la maggior parte ha scelto lo sforzo rispetto al talento. Dato questo risultato, Tsay sospetta che il bias della naturalezza possa essere un risultato del processo inconscio del cervello. “Potremmo non essere consapevoli dello scollegamento”, afferma.

Nati per la grandezza

Per scoprire se il bias della naturalezza potesse applicarsi ad altri ambiti oltre alla musica, Tsay ha progettato un esperimento simile che ha esaminato le attitudini delle persone verso il successo imprenditoriale.

I partecipanti hanno ricevuto i profili di imprenditori emergenti e una presentazione audio di un minuto del loro piano aziendale. Le informazioni erano identiche in ogni caso, tranne che per alcune frasi che descrivevano come fossero arrivati al loro successo attuale.

Per metà dei partecipanti, queste informazioni biografiche presentavano la persona come un lottatore che aveva lavorato duramente; per l’altra metà, il profilo raffigurava una persona con un talento innato.

Dopo aver letto il profilo, i partecipanti hanno valutato gli imprenditori e le loro proposte commerciali su diverse scale. Tsay ha riscontrato lo stesso tipo di giudizi che aveva osservato nelle valutazioni delle capacità musicali.

In media, i partecipanti hanno mostrato maggiore rispetto per i successi del talento naturale e hanno valutato più positivamente il relativo piano aziendale.

Il fatto che tra i partecipanti all’indagine vi fossero persone con esperienza imprenditoriale non è servito a ridurre il pregiudizio; viceversa, il pregiudizio è apparso addirittura maggiore tra coloro che avevano una esperienza imprenditoriale. Gli intervistati hanno mostrato di preferire imprenditori che avevano meno anni di esperienza nella guida di persone, che avevano ottenuto nelle varie prove punteggi più bassi di test di intelligenza (30 punti meno di QI) e in ultimo che avevano accumulato un capitale inferiore ad altri, semplicemente perché si diceva che avessero raggiunto il successo attuale grazie al loro innato talento.

Il bias della naturalezza emerge già in tenera età. Lavorando con colleghi presso l’Università della Scienza e della Tecnologia di Hong Kong, Tsay ha scoperto che anche bambini di cinque anni mostrano maggior rispetto per coloro che hanno abilità innate. In questo caso, ai partecipanti è stata raccontata una storia su due persone che descriveva quanto fosse facile per loro fare amicizia. I partecipanti hanno istintivamente preferito la persona naturalmente popolare rispetto a quella che aveva lavorato duramente per sviluppare le proprie abilità sociali. “Il bias della naturalezza è molto generalizzabile tra ambiti, età e culture”, afferma Tsay.

Fai attenzione alla tua mentalità

Il lavoro di Tsay sul bias della naturalezza si incrocia con un’ampia serie di ricerche psicologiche sul modo in cui le nostre convinzioni personali plasmano la nostra istruzione e lo sviluppo professionale.

Secondo questi studi, le persone con una “mentalità fissa” credono che le proprie abilità siano fisse, mentre quelle con una “mentalità di crescita” tendono a vedere le proprie abilità come modellabili.

In generale, le persone con mentalità di crescita sono più resilienti di fronte alle difficoltà e più propense a perseverare verso i loro obiettivi, ottenendo risultati migliori complessivamente.

Alla luce di questa ricerca, molte scuole e organizzazioni hanno iniziato a partecipare a iniziative che promuovono la mentalità di crescita tra studenti e personale.

“La maggior parte delle ricerche sulla mentalità che esistono esaminano ciò che penso e come ciò plasmi il modo in cui reagisco a diverse situazioni e come mi comporto come risultato”, afferma Aneeta Rattan, professore associato in scienze organizzative presso la London Business School. “Quello che mi piace del lavoro di Chia-Jung Tsay è che ribalta davvero questa prospettiva”. Invece di esaminare come i nostri giudizi possono influire sulle nostre azioni, afferma, Tsay sta esaminando come i nostri giudizi possano influenzare le azioni di altre persone nei nostri confronti.

Il lavoro di Tsay mette in luce il fatto che il bias della naturalezza è un’ingiustizia sottile che può influenzare le opportunità e le scelte che gli individui ricevono nel loro percorso di carriera. Per combattere questo pregiudizio, è necessario che tutti noi siamo consapevoli del nostro ruolo nel perpetuarlo.

Prospettive equilibrate

A livello individuale, l’esistenza del pregiudizio della naturalezza potrebbe influenzare il modo in cui ci presentiamo agli altri, in modo che i nostri risultati non vengano trascurati.

Al convegno annuale di quest’anno della Society for Personality and Social Psychology, la collega di Tsay, Clarissa Cortland, ha presentato i risultati di un sondaggio che esamina gli atteggiamenti di 6.000 ex studenti universitari che lavorano come leader aziendali. Quando è stato chiesto di descrivere il proprio percorso professionale, circa l’80% degli intervistati si è concentrato sui propri sforzi piuttosto che sulle proprie capacità innate.

Tale cifra è risultata ancora maggiore quando veniva chiesto loro di immaginare di descrivere il proprio percorso professionale ad altre persone.

Uno dei motivi potrebbe essere che la maggior parte delle persone desidera evitare di sembrare arrogante e crede che concentrarsi sul duro lavoro piuttosto che sul talento naturale possa farli sembrare più umili. L’arroganza è un attributo poco attraente e durante un colloquio di lavoro, ad esempio, potrebbe segnalare che una persona potrebbe essere antipatica e non integrarsi con il team di lavoro, o peggio ancora, che si tratta di una persona che farà fatica a seguire gli ordini.

In questo senso, la ricerca di Christina Brown, professore associato presso l’Arcadia University in Pennsylvania, negli Stati Uniti, ha dimostrato che alcuni fattori contestuali possono mitigare il pregiudizio. Brown ha scoperto che le persone tendono a preferire le persone che arrivano al successo grazie al duro lavoro e non al talento, per compiti che richiedono la capacità di cooperare con altri.

La maggior parte delle professioni attuali, richiede un certo livello di lavoro di squadra. Enfatizzare esclusivamente le nostre abilità innate, potrebbe etichettarci come “primedonne” incapaci di collaborare con altri.

La soluzione più intelligente, quindi, potrebbe essere quella di dare un’immagine più sfumata del nostro successo senza concentrarci esclusivamente su un elemento o sull’altro.

 

 

 

 

 

 

Gianluca Suardi

Gianluca Suardi

Sono nato a Milano e dopo aver conseguito un diploma ad indirizzo tecnico, ho studiato psicologia presso la Facoltà degli Studi di Padova e mi sono laureato in Psicologia del Lavoro nel 1996. La mia passione per le Risorse Umane, mi ha portato prima a lavorare per alcune società di Ricerca & Selezione di Personale come Recruiter. Nel 2010 fondo GSXecutive. Ci occupiamo di Ricerca e Selezione di Personale, Consulenza Aziendale e Coaching, Teambuilding. Attualmente iscritto all'Ordine degli Psicologi della Lombardia e all'Asnor (Associazione Nazionale Orientatori), nel 2024 conseguirò la qualifica di Coach accreditato ACTP con ICF- International Coaching Federation

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